Dite la verità, vi sono mancato come una pianta grassa morta perché vi siete dimenticati di rimetterla davanti alla finestra dopo le pulizie. Ma andiamo a vanti.
Di cose ne sono accadute molte in tutti questi giorni: innanzi tutto passo molto del mio tempo libero con un canide che ha un posto speciale nella mia vita. King, detto anche Pippo. E fin qui, direte voi, niente di nuovo
Ma veniamo a Cristina. 2
Dodici anni fa, conobbi un uomo in un parco. Un bel uomo, anche se aveva più anni di quel che sembrava ed un nome bruttissimo. Inoltre parlava un’italiano strano; molto corretto grammaticalmente, ma con una pronuncia particolare. Era una checca argentina, anzi portegna.
Nato a Buenos Aires tanti e tanti anni fa da una famiglia mooolto benestante, il povero Anibal aveva anche un altro nome, ma era peggio del primo. E dei cognomi che in Argentina contavano qualcosa un centinaio di anni prima che lui si decidesse ad attraversare l’Oceano.
Già da piccolo aveva dimostrato che essere gay non è una scelta; presidente degli Stati Uniti lo puoi diventare, ma Re d’Inghilterra, o gay, ci si nasce!
Decise di prendere la laurea in Architettura perché era decisamente chic, e poi, pur di non andare a lavorare, si innamorò di uno psicologo più vecchio di lui di parecchi anni. Non solo per farsi mantenere ma anche per farsi aiutare a prendere la seconda laurea in psicologia.
Per il rampollo di una ex-agiata famiglia ormai non più tanto in vista nella capitale argentina, la vita scorreva lenta come il grande fiume davanti alla città, che ospitava sulle sue isolette le imprese delle molte, moltissime, troppe checche portegne. Orge assatanate a tutte le ore del giorno e della notte!
Ho visto le foto, credetemi, non sono pubblicabili.
Tornavano in città dalle isole con traghetti che si fermavano su richiesta agli imbarcaderi fatti di pali e canne lungo le rive del fiume e delle isole, con in braccio enormi mazzi di fiori giganteschi, con felci e frutta per la cena e tante altre cose ancora che riempivano i vecchi traghetti sino all’inverosimile.
Dopo aver girovagato per l’Europa decise che Roma era il suo luogo ideale per vivere, per cui dopo sei mesi arrivò a Milano. Qui capì quanto brutta può essere una città e quanto odioso fosse il suo clima, per cui ci rimase per almeno dodici anni. Ognuno fa la vita che può, e non quella che vuole.
Da quando lo conobbi non passa un giorno che non mi chiami per aggiornarmi sul suo pietoso stato di salute, mentre il suo fidanzatino, molto più giovane di lui, insiste nel dire che le sue malattie sono tutte inventate, ed è seriamente preoccupato dall’Halzeimer incalzante.
Si sa, Cristina è una extracomunitaria e come tale ha usanze e costumi diversi. In fin dei conti viene dall’Argentina, anzi da Buenos Aires, e lì le cose sono diverse. Molto diverse.
Dopo aver cercato di diventare famosa a Buenos Aires, in tutti i modi leciti ed illeciti durante la dittatura dei colonnelli, non gli restò che migrare verso sud.
Ma si sa che in Argentina esiste solo Buenos Aires e la Patagonia, quindi si schiantò con l’auto in uno dei tanti paesucoli in cui trovavano rifugio da tempo immemore gli esseri più sfregevoli e spregevoli della terra. Priebke lo prese subito sottobraccio e lo portò a fare il giro del suo podere, ma alla Cristina, si sa, gli piacciono belli e giovani, quindi lo mollò per un americano e poi un brasiliano e poi un portegno e poi etc.
Ogni tanto rimaneva sola e disperata perché non si spiegava come mai tutti scappassero dopo un paio di notti trascorse con lei ed era proprio allora che iniziava a nevicare per un paio di giorni e che nei successivi la temperatura si abbassava fino a far gelare tutta la neve che ricopriva la casa, obbligandola a stare attaccata al fuoco, sola.
Ecco perché un bel dì disse: -“ Ma va in culo, brutta puttana…”-
Ma quello accadde molto tempo dopo.
Prima disse: -“Ma va in culo, tempo di merda…”- e si armò di fucile e di renault 4 per tornare tra le grandi e fastose discoteche della capitale dove tutti già erano impazziti dalla disperazione di quella prospettiva.
Ogni tanto ammazzava una pecora e se la mangiava, perché il viaggio è lungo e tutto nella pampa, dove oltre ad allevamenti di animali da pelo non ci sono altro che strade solo dritte per centinaia di chilometri e chilometri e chilometri e tempeste di vento. La pelle però le appendeva sempre alle reti di recinzioni, come prescriveva la legge. Quasi sempre. In effetti deve aver fatto molte volte quella strada e doveva avere sempre molta fame perché ho visto tante di quelle pelli di pecore strane da sfamare un esercito.
Ma scopertasi inseguita dalla polizia, a seguito di tasse sui terreni non pagate e su un certo numero di quintali di cocaina che avrebbe imbustato per gli amici, decise di fuggire in Europa.
E qui…
giovedì 17 maggio 2007
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